16 giu 2016

Serotonina,Logos e Tao


Nello studio della mente e del pensiero cosciente convergono due campi d’indagine;il primo è quello neuroscientifico in cui si cerca di comprendere come la coscienza e il pensiero nascono ,attraverso l’esame delle connessioni cerebrali tra le strutture sottocorticali e la corteccia dove hanno sede la gran parte dei processi cognitivi;il secondo è quello della cosiddetta ‘mente esterna’,dove una cultura evolve attraverso fasi storicamente determinate,all’interno dei codici di una specifica memosfera e in cui le idee prodotte dalle menti acquistano una vita indipendente con propri meccanismi selettivi.
Restiamo in questo secondo campo e prendiamo in considerazione la versione moderna di un meme di successo e di lunga tradizione nella nostra cultura,quello delle ‘due soggettività’:“Dio non ha pudore perché non ha corpo. L' animale non ha pudore perché non ha il senso della propria individualità. L' uomo, che ha corpo e individualità, esprime nel pudore la dialettica contrastante di queste due dimensioni che così intimamente lo costituiscono e lo lacerano. Ciascuno di noi, infatti, ospita due soggettività. Una che dice «Io», con cui siamo soliti identificarci, e una che ci prevede «funzionari della specie» per la sua continuità. Amore, che gioca sul doppio registro della nostra soggettività, prevede che ad amare e ad essere amato sia il nostro io, ciò che intimamente ci costituisce e ci individua e, contro la sessualità generica e non individuata, erge la barriera del pudore…”(Galimberti,2004)
Le parole del filosofo-psicoanalista sul mito del conflitto tra due soggettività,rende bene il senso d’angoscia che da sempre pervade la cultura dell’Io o dell’Anima’,perni  della nostra idea di libero arbitrio che ci individua rispetto agli oscuri meccanicismi che ‘si occupano di noi’ come funzionari della specie,il cui unico scopo è quello di farci riprodurre attraverso i meccanismi dell’attrazione sessuale e dell’amore finchè arriva il momento di toglierci di mezzo per lasciare il posto a nuovi esseri.
I racconti alimentati da questa rappresentazione di come vanno le cose è il cibo della nostra mente,materia dei nostri dialoghi con  altri e noi stessi,un flusso ininterrotto di parole e immagini che ci impegnano  nel controllo della nostra esistenza,ora come eroi ora come vittime,a seconda di come va la lotta contro quell’’alterità genetica’ che di noi se ne frega,come anche della nostra volontà,delle speranze,dei progetti personali che ci animano.
Questa atmosfera tragica sfuma in commedia se implichiamo alcune ipotesi derivanti dagli studi di genetica delle popolazioni e da quelli sull’evoluzione delle culture,che pretendono di dirci qualcosa di più sui racconti della mente.Per cominciare si dice che,come avviene in tutte le specie animali,anche per l’uomo esiste una correlazione soprendente tra la distanza geografica che separa due gruppi umani e il grado di differenza dei loro genomi.Le popolazioni che in seguito alle migrazioni iniziate dall’Africa circa 150.000 anni fa rimasero isolate per molte generazioni svilupparono alleli distintivi,da cui derivarono varianti fisiche,neurofisiologiche e temperamentali, che sono tuttora alla base delle loro differenze mentali e culturali.Queste differenze interessano anche i gradi più elevati della coscienza riflessiva,come ammette decisamente anche lo psicoanalista-filosofo,quando mostra la sua perplessità davanti alla diffusione della mindfulness,della meditazione e  altre tecniche del buddismo zen nelle pratiche psicoterapeutiche dell’occidente.
Abbiamo noi una mente idonea a comprendere i processi mentali in orientale..oppure in quanto occidentali non siamo in grado di entrare in quel mondo?”,si domanda e la sua risposta è che non siamo in grado,semplicemente cerchiamo d’usare ‘arnesi’ orientali senza avere la struttura mentale d'un orientale;secondo lui la cosa potrebbe esserci consentita solo vivendo là almeno una quarantina d’anni,per assorbire i percorsi della mente orientale (intervista a RAI New del 19/06/2015).
Una mente d’oriente in effetti sente meno la ‘tragedia’ delle due soggettività contrapposte che a noi appare come la più realistica delle condizioni.Il racconto in oriente ha sempre avuto qualche difficoltà a diventare popolare e di successo,e non solo per un problema d’ambiente che potrebbe essere superato risiedendo una quarantina d’anni da altre  parti.
Certe discriminanti  epigenetiche tra i popoli indirizzano la formazione di significati attribuiti alla relazione  uomo-natura e uomo-cultura,e dunque modellano anche il dialogo  che un individuo intrattiene con altri e con se stesso.
Secondo i genetisti tali differenze potrebbero essere associate a due gradienti geografici,quello est-ovest (per es.nel confronto tra un inglese e un cinese) e quello nord-sud ( nel confronto,ad esempio,tra il genoma di chi vive nell’Africa centrale e di chi vive in nord Europa).
I geni responsabili di questo mosaico non sono quelli strutturali,che restano invariati tra le popolazioni,ma quelli detti promoter   o enhancer (promotori o intensificatori),gli addetti al controllo dell’espressione dei geni strutturali e controllo che agisce sui livelli di attività delle catecolammine,sui sistemi simpatico e parasimpatico e sulle funzioni cerebrali.Quali sarebbero i segni epigenetici indicativi? J.Kagan (2010) accostando gli studi di L.Cavalli Sforza sulla genetica delle popolazioni,con la sua trentennale ricerca sulle basi biologiche delle differenze di personalità,in cui ha avuto modo di confrontare gruppi di bambini asiatici e caucasici americani,avanza cautamente l’ipotesi che le differenze culturali  tra occidentali e orientali siano la conseguenza di variazioni genetiche nella funzionalità cerebrale,oltre che nei sistemi nervosi autonomo,endocrino e immunitario.
Entrambi i meccanismi porterebbero a livelli cronicamente più bassi di attività della serotonina,le quali determinerebbero anche una serie di conseguenze a livello cerebrale e comportamentale.Tenuto conto del fatto che la serotonina (neurotrasmettitore essenziale per l’attività del Sistema di Inibizione Comportamentale-BIS-) ,in rapporto a determinati stimoli ambientali,può attivare o bloccare anche uno specifico recettore della dopamina (Sistema di Attivazione Comportamentale-BAS-) in aree deputate al movimento degli arti,è ragionevole supporre che l’abbassamento cronico dei suoi livelli nel cervello,insieme ad un abbassamento del tono dell’umore, dell’eccitazione e dell’ansia,possa modellare anche il tasso di reattività neuromuscolare in relazioni a specifiche stimolazioni ambientali.
Kagan conclude che tutto questo potrebbe spiegare  perchè i bambini cinesi nei suoi gruppi di studio sorridevano e ridevano sempre meno dei loro coetanei caucasici appartenenti alla medesima classe sociali e residenti nella stessa area.Aggiunge inoltre che,tenendo conto del fatto che anche le scimmie portatrici dell’allele corto si allarmavano di più di fronte a foto di scimmie maschio che si trovano in alto nella scala sociale e sono dunque più portate alla sottomissione,ciò avvenga anche negli esseri umani,che dovrebbero avere una maggiore tendenza a piegarsi e uniformarsi alle norme del gruppo,ossia all’insieme delle leggi,delle regole,delle credenze,delle consuetudini apprese che confluiscono nella mente esterna, a essere insomma più ‘addomesticabili’ e più gentili con gli altri.Queste evidenze sono anche un invito a formulare ipotesi sul perchè le popolazioni asiatiche ed europee abbiano prodotto filosofie così differenti:una,quella d’occidente,che esprime un sè più ansioso, eccitato e attivo verso il mondo e la natura,e l’altra che indica un sè più distaccato,passivo e orientato alla ricerca di  armonie con la società e la natura.
La percentuale di individui portatori dell’allele lungo nella regione promoter del gene trasportatore della serotonina (che assorbe serotonina dalle sinapsi tra i neuroni) è massima tra gli africani;tra gli europei è maggiormente diffuso l’allele ‘medio’ e tra gli orientali quello ‘corto’.L’allele ‘corto’ negli orientali riduce il livello di espressione del gene;una conseguenza di ciò è che la serotonina rimane nelle sinapsi più a lungo,ritardando la sua eliminazione fisiologica.Gli scienziati pensano che con l’andare del tempo la presenza prolungata di serotonina porti ad un abbassamento cronico dei suoi livelli di attività in un cervello asiatico rispetto a uno caucasico o africano,o perchè il suo eccesso riduce il numero dei recettori nei neuroni adiacenti,o perchè il nucleo del rafe,da cui la serotonina viene prodotta,riceve feedback inibitori.
Le implicazioni di questa ipotesi sono notevoli.Parlando di una cultura possono essere presi in considerazione vari suoi livelli di espressione tra quello genetico e quello dei memi ,come i processi che guidano la formazione delle idee (quelli emotivo-cognitivi di processazione automatica e quelli del controllo consapevole che include il linguaggio simbolico),fino alla  selezione culturale delle idee stesse,cioè la facilitazione o meno che incontrano per propagarsi nella memosfera di un popolo.
Consideriamo l’evoluzione della conoscenza scientifica.La scienza moderna è nata in occidente,ma non la mentalità scientifica.A tale proposito esistono  alcune questioni irrisolte nell’evoluzione  di questa conoscenza esprimibili in due semplici domande che hanno impegnato a lungo alcuni studiosi.La prima:perchè nel secolo XV le scoperte scientifiche e le sorprendenti applicazioni tecnologiche cinesi,dopo essere fiorite per un millennio si sono improvvisamente fermate,proprio nel momento in cui la scienza moderna ‘esplodeva’ nel mediterraneo e in Europa? E l’altra:come è stato possibile che una gran parte delle scoperte e delle realizzazioni scientifiche e tecnologiche che hanno cambiato il mondo (la stampa,la bussola magnetica,la polvere da sparo, la sintesi di sostanze medicinali,il sismografo,ecc...) siano avvenute in Oriente,durante il periodo Song dell’antica Cina (960-1279 d.c) invece che in quelle dell’IO e del Logos,dove sarebbe stato logico aspettarsele, dal momento che i suoi scienziati e filosofi,appartenenti ad una cultura che in linea generale privilegiava l’investigazione analitica e la scoperta,e avevano già stabilito una stretta connessione tra il ‘saper fare’ della tecnica e il ‘sapere’ del Logos?
La ricerca di una risposta  impegnò a lungo Joseph Needham (1969),il biochimico e orientalista inglese.L’attribuzione della responsabilità alla cattiva influenza esercitata dai missionari cristiani,che avrebbero insegnato agli intellettuali e  funzionari cinesi i fondamenti della filosofia greca,della tecnologia greco-romana e cercato di diffondere le credenze ebraico-cristiane,non convince.I memi confuciani e taoisti che implementavano le menti cinesi erano impermeabili a quelle credenze.Per un Taoista il Cristianesimo era un’assurdità inconcepibile;nell’universo per lui non c’era nulla di separato e trascendente,tutto era interdipendente nell’Uno.Per un taoista la mente interna individuale non è un  ‘sè’ con una distinta identità intellettuale e morale che si contrappone all’oggetto e alla natura,ma qualcosa che varia e si armonizza coi contesti di esperienza in continua evoluzione.I cardini della memosfera orientale fissavano i limiti entro i quali può svilupparsi l’individualità ed è forse per questa ragione che anche la contesa tra intellettuali non ha mai trovato   all’interno delle varie scuole l’ampia espressione che hanno avuto in occidente,terra di santi,martiri o eroi. Il tradizionale pragmatismo cinese adottò la tecnologia occidentale e cercò di interpretarla  secondo i suoi principi,ma scartando i fondamenti della filosofia occidentale e delle credenze ebraico-cristiane.
L’astronomo Mei Wending che visse nel periodo in cui i ‘colonizzatori’ gesuiti erano stati ammessi alla corte imperiale cinese,si dette un gran da fare per contrastare la loro l’opera di propaganda a favore della filosofia e della scienza occidentali;fu il primo a parlare del problema della diffusione culturale delle idee e della mentalità scientifica in Cina.Rifiutò con decisione le conclusioni dei gesuiti che attribuivano la lacuna all’assenza di grandi matematici,scienziati e filosofi al livello di quelli che vissero nella Grecia antica,e sostenne che la scienza cinese,un tempo gloriosa,si era degradata a causa di difficoltà nei processi di trasmissione all’interno della società orientale.
Fedele alle sue ipotesi Mei intensificò la ricerca dei libri antichi per riportare alla luce le tecniche e le scoperte dell’antica Cina e nel corso della ricerca furono raccolte alcune conoscenze matematiche che presentavano profonde analogie con quelle che i missionari consideravano ‘occidentali’.In base a questo Mei giunse alla conclusione,creando sul momento qualche problema diplomatico,che l’origine del sapere d’occidente andasse ricercata in Cina (F.Bray-2001-La scienza in Cina,www.treccani.it).
A parte le conclusioni estreme,la visione di Mei conteneva ipotesi valide.La prima è che i processi dei differenti stili di pensiero (in questo caso quelli ‘oggettivisti’ della mentalità scientifica) non hanno un potere di controllo sulle idee che producono una volta che queste  sono sottoposte alla  selezione nella mente esterna.La seconda è che la sorte delle idee in  questa selezione non dipende dal loro contenuto di verità,come ritenevano i gesuiti platonici e aristotelici,ma dal loro potenziale diffusivo in una memosfera.
In oriente mancò quella rivoluzione culturale che in occidente cambiò i panorami della sua cultura e facilitò la diffusione e il dominio degli oggettivismi ,una rivoluzione che seguì all’invasione e all'innesco dei memi dell’ebraismo medio-orientale nella cultura della grecia antica.
All’origine,nonostante le differenze nelle visioni cosmologiche e nel sentimento del rapporto tra il sè e natura,le culture dell’antica Grecia e dell’antica Cina avevano qualcosa in comune.In entrambe,le ambizioni di menti ‘specializzate’ nel ‘saper fare’ scientifico e tecnico erano abbastanza svalorizzate da un potente meme che dominava morale e costumi,ossia le norme della morale aristocratica, secondo le quali era più onorevole non tenere in grande considerazione l’opera di artigiani imprenditori,di ingegneri,di inventori e delle loro tecniche. Le principali virtù confuciane o laotziane risiedevano nel coltivare l’umanità,la rettitudine,la proprietà,la conoscenza e l’affidabilità e condannavano esplicitamente l’orientamento al profitto, privilegiando la cura di sè e delle virtù.Anche Platone arricciava il naso davanti al  lavoro pratico nella meccanica e il grande Archimede, secondo Plutarco,ritenendo l’ingegneria qualcosa di volgare,desiderava  essere ricordato più che altro come matematico (G.E.Lloyd,2003).
(segue)